La terza scena di vita familiare che vi propongo riguarda un’espressione che una ragazza delle scuole secondarie di primo grado si è sentita dire da un compagno di classe: “Ma suicidati!” dopo che lei gli aveva detto di smettere di dire parolacce. La ragazza ha raccontato ai suoi genitori che questa parola non viene detta solo a lei ma anche ad altri, quasi come fosse una modalità ricorrente tra i suoi compagni.

Voi che ne pensate? Quali riflessioni vi vengono in mente? Che cosa avreste detto alla ragazza? Avreste fatto qualcosa? Scrivete il vostro commento sulla mia pagina Facebook Connettiti alla Psicologia.

Il prossimo lunedì pubblicherò le mie riflessioni qui di seguito, visibili anche sulla mia pagina Facebook.

“Ma suicidati!”: riflessioni

La prima riflessione riguarda il contenuto della frase che è stata rivolto alla ragazza. Tale contenuto potrebbe essere analizzato da diversi punti di vista. Io inizierei da quello giuridico perché la frase “Ma suicidati”, in presenza di certe condizioni, potrebbe rientrare in un reato ben preciso che si chiama “istigazione al suicidio” che è regolato dall’art. 580 del Codice Penale. Dico questo per mettere in evidenza il peso di questa frase.

In realtà, però, il punto di vista che mi interessa maggiormente analizzare è quello relazionale e psicologico perché oltre ad eventuali effetti giuridici quella frase ha prima di tutto effetti importanti sulla psiche di chi riceve quell’invito. Si tratta, infatti, di un invito di morte che mira ad eliminare l’avversario, attaccando proprio la stima e la fiducia che questa persona può avere per se stessa. Gli effetti di questa frase, quindi, potrebbero essere molto gravi su una persona adulta, immaginate su di un minore. Alle scuole secondarie di primo grado i ragazzi stanno sviluppando ancora la propria identità e per questo sono maggiormente sensibili e fragili agli attacchi esterni. A quell’età è forte il rischio di non credere in se stessi o di sentirsi sbagliati perché sono innumerevoli le sfide evolutive da affrontare in una società sempre più complessa. Di fronte ad un invito di questo genere, soprattutto se ripetuto più volte nel tempo, una ragazza che si sente insicura e non ha il supporto di qualcuno può rischiare davvero di prendere sul serio quell’invito. Purtroppo i nostri media ci ricordano che questo accade fin troppe volte.

Nella scena familiare che vi ho proposto, abbiamo, però, una ragazza che ha avuto il coraggio di parlarne con i genitori. In realtà questo non accade spesso perché a quell’età il desiderio di staccarsi dai genitori e di iniziare a cavarsela da soli inizia a farsi sentire forte. Nella scena che ho proposto non è indicato qual è il vissuto emotivo della ragazza ma viene indicato il fatto che lei abbia scelto di parlarne perché probabilmente ha intuito che questo comportamento verbale ha qualcosa di ingiusto. Questo avviene se i ragazzi hanno coscienza dei propri diritti, in questo caso, del diritto al rispetto della propria persona e se hanno fiducia negli adulti ai quali scelgono di confidare un qualcosa che li fa stare male.

A questo punto occorre riflettere sul ruolo degli adulti in questa situazione. Nella scena che ho proposto non è indicato se gli insegnanti in quella classe fossero al corrente di queste espressioni che, a quanto pare, vengono dette frequentemente. Non è indicato nemmeno cosa abbia fatto il genitore che si è sentito raccontare l’esperienza della figlia. In quella situazione ciò che il genitore avrebbe potuto fare è ascoltare attentamente il racconto della figlia, le sue emozioni e i suoi pensieri, per aiutarla a filtrare quelle parole per neutralizzarle. Ciò che va messo in evidenza non è il poco valore che quella frase vuole attribuire al destinatario ma la fragilità della persona che l’ha pronunciata. Annientare l’altro per sentirsi forti non è sintomo di forza ma di debolezza. Oltre a questo, però, è necessario che gli adulti fermino questi comportamenti violenti dando un segnale chiaro a chi li compie.

Un’ultima riflessione riguarda la modalità di relazione e di gestione dei conflitti che troviamo tra i ragazzi di oggi. Il ricorso a queste espressioni dette molto probabilmente con superficialità e solitamente non con la consapevolezza del reale peso di queste parole, è indice che manca la capacità di empatia (capacità di sentire cosa gli altri sentono) e di gestire i conflitti in modo efficace.

Dott.ssa Serena Costa, psicologa dell’infanzia (serenacosta.it@gmail.com)

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Qui trovi la seconda scena familiare “Scene di vita familiare 2: “Ho fretta! Ti vesto io!””

Qui trovi la prima scena familiare “Vuoi la cioccolata di tua sorella?”

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